Il Collegamento con Il baglio si evidenzia in molti documenti per la maggior parte provenienti dall'archivio di Stato di Palermo ove, in particolare nella busta 1055 "Feudi di Baida" dell'Archivio Belmonte si legge: "Atto di vendita del luogo in favore Don Antonio Palma per il prezzo capitale di onze mille oltre delle onze quattro annuali di quanto dovuto alla mensa arcivescovile di Palermo che ne prestò il consenso il 27 marzo del 1634 ...... Il Cardinale Doria Arcivescovo concesse in enfiteusi ad Antonio Palma un tempo procuratore speciale del real patrimonio salme 10.5 di terre esistenti nella contrada di baida nonché salme 5.5 di terre ..... dette terre sono confinanti con quelle del Barone Vito Luparello da una parte (Oggi Istituto Zootecnico), dall'altra con il loro nominato di Bellaura e con il principe di Buonriposo. (Oggi zona Via Perpignano)"
Nel testo contenuto in Fig.1 si nota il legame tra il ramo siciliano della famiglia Palma e la Famiglia Monroy che succedette ai beni dei Palma attraverso il matrimonio di una pronipote di Antonio "Giuseppina Palma Scuderi figlia di Alberto ed Antonia Scuderi" con Ferdinando Monroy Principe di pandolfina e Marchese di Garsigliano Nato il 28/01/1654 e morto il 17/01/1727
La Famiglia Monroy è sicuramente tra le dinastie più importanti che hanno avuto in possesso il Baglio con le terre annesse a formare il marchesato Garsigliano.
Di seguito riportiamo alcuni collegamenti che permettono di navigare verso siti web che descrivono le origini la storia ed i personaggi illustri legati alla famiglia Monroy.
Storia archivistica: Il fondo è stato depositato in Archivio di Stato per volere di Ferdinando Hardouin Monroy, principe di Belmonte nel 1941 e aggrega documentazione relativa alla Casa Ventimiglia, alla Casa Monroy, e alla Casa Monroy di Belmonte, titolari del principato. Nell’archivio sono confluite anche carte relative alle famiglie D'Afflitto e a quelle loro legate da rapporti di parentela e/o interesse come Rosselli e Speciale, Alliata, Belloch, Bargellino e Cottone, Perollo Cappasanta, Scuderi, Palma, Settimo e Riggio.
Descrizione: Tutte le scritture riguardano, in massima parte, le baronie e i feudi siciliani delle famiglie citate, dal sec. XIV al XIX e contengono privilegi di concessioni feudali, investiture, locazioni, testamenti, capitoli dotali e notizie varie genealogiche, documentando le vicende di una delle famiglie più importanti nel Regno di Sicilia, che annovera tra i suoi esponenti – oltre al noto vicario Francesco Ventimiglia – anche vicerè, pretori di Palermo e stratigoti di Messina. Oltre ai possedimenti in Palermo, gli atti si riferiscono alla contea di Collesano, alla ducea di Carcaci, alle baronie di Santo Stefano di Bivona, Gratteri, Casalbianco, Spaccaforno e altre. Il complesso documentario ha inoltre notevole importanza per la storia risorgimentale locale, avendo diversi membri della famiglia preso parte attiva agli avvenimenti politici del tempo, come Giuseppe Ventimiglia durante l’occupazione inglese del 1811 e quello di Ferdinando Monroy nel periodo 1848-1860. L'archivio è articolato in tre serie di scritture: serie I scritture della casa Ventimiglia (1258-1905, con docc. in copia dal sec. XII), serie II scritture della casa Monroy (1342-1832, con docc. in copia dal sec. XII), serie III scritture della casa Monroy di Belmonte, (1491-1931, con docc. in copia dal 1241).
L'inventario elenca tutta la documentazione presente nell'archivio Belmonte relativo alla Casa Ventimiglia (1129-1832), alla Casa Monroy (1129-1832) e alla Casa Monroy di Belmonte, (1832-1931), titolari del principato. Nell’archivio sono confluite anche carte relative alle famiglie D'Afflitto e a quelle loro legate da rapporti di parentela e/o interesse come Rosselli e Speciale, Alliata, Belloch, Bargellino e Cottone, Perollo Cappasanta, Scuderi, Palma, Settimo e Riggio. Oltre ai possedimenti in Palermo, gli atti si riferiscono alla contea di Collesano, alla ducea di Carcaci, alle baronie di Santo Stefano di Bivona, Gratteri, Casalbianco, Spaccaforno e altre. L’inventario è stato redatto nel 1946.
Il borgo di Boccadifalco nasce attorno alla Riserva Reale borbonica realizzata tra il 1799 e il 1815, fautore dell'opera fu il principe Francesco, figlio di Ferdinando IV, i quali si erano rifugiati in Sicilia. Il parco fu una risposta di Francesco al padre[senza fonte] che nel frattempo stava costruendo la riserva di caccia della Favorita. A differenza del parco della favorita, la riserva di Boccadifalco non era utilizzata soltanto per la caccia, al suo interno infatti venivano sperimentate nuove tecnologie e tecniche agricole, zootecniche e botaniche. Attorno al parco nacquero ben presto attività che si affiancarono all'attività del parco stesso come macellerie, taverne e le abitazioni dei lavoratori della riserva. Quando i regnanti si ritrasferirono a Napoli il parco cadde lentamente in disgrazia, ma le attività e le abitazioni che lo circondavano rimasero in loco. Attualmente il parco risulta abbastanza degradato e in parte edificato. Negli anni trenta l'area fu scelta per la costruzione dell'Aeroporto di Palermo-Boccadifalco, questo stravolse completamente la conformazione e l'economia della zona, l'aeroporto divenne in breve tempo il terzo aeroporto nazionale per traffico passeggeri. Nel 1960 il traffico passeggeri venne spostato presso il nuovo Aeroporto di Palermo-Punta Raisi e quello di Boccadifalco trasformato in aeroporto militare.
Nel luogo superiore di Alberto Palma, nella strada che porta a Baida, v’ha chiesa; fu fondata e dedicata a Sant’Alberto.
Stimo che la fabbrica fu dopo il 1634, poiché il luogo fu concesso dal Card(inale) Doria ad Antonio Palma Procurator fiscale del Patrimonio p(er) atto in n(otaio) Vinc(enz)o Velardo a 10 maggio 1634 e questi edificò la chiesa,
Ad Antonio successe il figlio Alberto Palma; ma dopo la sua morte, ereditato il luogo da una sua nepote, d(onna) Ant(onin)a Scuderi e Palma, figlia di una sua figlia, ella casata col marchese di Garsigliano don Ferdinando de Monroy, mutò nome: poiché egli nel 1726 rifabricò la chiesa, vi fece un cappellonetto e livata l’immagine di S. Alberto vi collocò un’immagine del Signore con un fulmine in pugno, in luogo più basso l’Immacolata Signora dalla destra e S. Giuseppe dalla sinistra e più basso S. Rosalia, tutti in atto di pregare per la città di Pal(erm)o che sta dipinta nella parte inferiore; alludendo il tutto al terremoto del p(rim)o sett(embr)e 1726.
Ubicazione: Boccadifalco, Villa Pandolfina-Marasà
Numero di riferimento in pianta: 127
Proprietari e trasformazioni individuati: Lungo l’antica strada che conduce a Baida si estendeva una vasta tenuta, in origine costituita da tre fondi: il primo era denominato la costera, perché ubicato sul costone roccioso tra Boccadifalco e Baida, e comprendeva una torre cinquecentesca con alcune case annesse; nel secondo, sottostante al primo, sorgeva un grande caseggiato agricolo cinquecentesco con cortile e chiesa; il terzo fondo si estendeva sotto la strada che conduceva al convento di Baida. Nel 1634 il Monte di Pietà di Palermo concesse in enfiteusi ad Antonio Palma il luogo della Costera con la torre e nello stesso anno Palma si aggiudicava dall’Arcivescovo Giannettino Doria il limitrofo fondo grande con il baglio459. Alberto Palma fece erigere nel cortile della villa una chiesetta che intitolò al santo di cui portava il nome. Quindi la tenuta passò alla figlia Antonia che sposò Ferdinando Monroy principe di Pandolfina e marchese di Garsigliano. Nel 1726, in ringraziamento della liberazione dal terremoto dell’I settembre dello stesso anno, il Monroy ricostruì la cappella, facendovi dipingere la grande pala d’altare descritta dal Mongitore. I principi di Pandolfìna mantennero la proprietà della tenuta fino agli inizi del nostro secolo, quando le terre passarono in concessione alla famiglia Marasà. Il caseggiato subì gravi danni durante i bombardamenti aerei del 1943, e oggi ne rimangono i grandi ruderi in gran parte trasformati. La cappella, situata sotto l’arco d’ingresso al cortile, è stata trasformata in abitazione. F. 161 (c. 130)
Tratto dal libro: IN RURE SACRA
Scritto da: FRANCESCO LO PICCOLO
Edizioni: ACCADEMIA NAZIONALE DI SCIENZE LETTERE E ARTI GIA' DEL BUON GUSTO DI PALERMO 1995
Pagina 169
La prefazione di questo articolo è tratta dal libro del Prof. Francesco Lo Piccolo che raccoglie sapientemente le ricerche del famoso storico Palermitano Antonio Mongitore. Nel breve testo si evidenzia come nella cappella era presente una grande pala d’altare che ritrae una scena ricorrente della iconografia religiosa Cristiana, da segnalare la presenza di una rappresentazione grafica di Palermo a ricordare il terremoto del settembre 1726. Il dipinto è purtroppo disperso, probabilmente già i Monroy l’avevano spostato in una delle loro altre numerosa dimore prima del passaggio di proprietà del Baglio ai Marasà. La descrizione è molto dettagliata, se qualcuno leggendo questo articolo ha in mente un dipinto che corrisponda alla descrizione, ci contatti e saremmo felici di pubblicare la riproduzione su questo sito.
IL FRANTOIO
Probabilmente dopo il '43, ripulite le macerie dei bombardamenti, i superstiti dei fratelli Marasà avviarono un'attività di produzione di olio dove era esistita la vecchia cappella. A seguito dei bombardamenti nella zona dell’abside non vi era copertura. Oggi abbiamo poche informazioni di questa attività che verosimilmente non durò a lungo e che comunque se ne era persa traccia. Nel 1987 durante un restauro della vecchia cappella, per sondare il pavimento e raggiungere il livello originale sono state rimosse parte delle macerie dei bombardamenti, che ancora oggi, creano uno spessore di almeno un metro di altezza, ed ecco inaspettatamente apparire al centro dell’abside l’enorme pietra circolare che serviva per schiacciare le olive con un diametro di 134 cm ed uno spessore di 45 cm era subito sembrata enorme e sicuramente pesante circa 2800 kg.
la macina
Il problema era sollevarla per portarla a livello del suolo, a mano con leve e spessori è stata riportato in vita l’enorme manufatto di granito. Poco più in là, a metà della stanza, un altro ritrovamento,
il basamento della pressa
la pietra che faceva da basamento per il torchio. Su di essa vi era costruita una struttura in legno con una grossa vite, che permetteva di pressare la pasta di oliva appena macinata. Della struttura in legno purtroppo non è rimasto niente. Anche la pietra del torchio è stata sollevata e portata al livello di pavimento con le sue scanalature dove scolava l’olio estratto che veniva poi conservato nelle grosse giare di terracotta ancora presenti nel Baglio.
La macina era posta in piedi, girava intorno ad un asse centrale, il tutto era movimentato probabilmente da un asino. È ancora visibile la mangiatoia e l’anello dove l’animale veniva legato.
Il pavimento originale si trova a circa un metro di profondità ed è realizzato con piccoli mattoni di cotto, purtroppo è in pessime condizioni. Il resto aspetta di essere riscoperto.